Floating Flo

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Volitare necesse est, vivere non necesse est...

Credit to Paolo Petracchi

Oggi voglio parlarvi di una pratica che, a prima vista, potrebbe sembrare lontana dai contesti accademici e dalle rigorose analisi psicologiche: il floating. Tuttavia, se osservata attraverso una lente spirituale e filosofica, questa pratica ci offre una straordinaria opportunità per esplorare il nostro rapporto con la realtà e con noi stessi.

Il floating è un’esperienza che ci permette di immergerci in un’esistenza priva dei filtri sensoriali attraverso cui siamo abituati a percepire il mondo. In una vasca di deprivazione sensoriale, galleggiamo sospesi in acqua a temperatura corporea, isolati da stimoli visivi, uditivi e tattili. Questo stato elimina, temporaneamente, il filtro dei sensi attraverso cui percepiamo la realtà quotidiana, e su cui abbiano costruito i nostri modelli comportamentali, le credenze, gli archetipi, ma soprattutto ci connette a qualcosa di più grande: una dimensione più profonda e universale.

Per comprendere il significato di questa esperienza, mi piacerebbe partire da una frase che lo storico e fiolosofo greco Plutarco attribuisce a Gneo Pompeo Magno uno dei più grandi generali e politici della tarda Repubblica Romana, vissuto nel primo secolo AC. 

Durante una difficile campagna militare, le sue truppe esitavano ad imbarcarsi alla volta di Roma a causa del mare in tempesta. Il rischio era evidente, la paura comprensibile. Ma Pompeo, con una frase diventata leggendaria, ordinando di levare l’ancora, li esortò dicendo:

"Navigare necesse est, vivere non necesse est." Parafrasando e adattando questa celebre frase, potremmo dire oggi: "Volitare necesse est, vivere non necesse est.”

Con le sue parole, Pompeo non si limitava a spronare i suoi soldati a imbarcarsi. Li stava spingendo a guardare oltre la paura del momento, a comprendere che ciò che conta non è tanto la sopravvivenza, quanto lo scopo, la missione che dà significato alla loro vita.

Allo stesso modo, il floating ci invita a riconsiderare ciò che percepiamo come reale e importante. Nella nostra vita quotidiana, siamo immersi in un flusso incessante di stimoli, impegni e distrazioni. Questo vortice spesso ci allontana da una verità più essenziale: non siamo qui solo per vivere, ma per comprendere il perché della nostra esistenza e darle uno scopo.

Quando galleggiamo, isolati dai sensi, ci troviamo in un luogo in cui il tempo sembra dissolversi e la mente si libera delle sue solite occupazioni. In questo stato, emerge una nuova prospettiva: una realtà che non è mediata dai nostri sensi, ma percepita direttamente attraverso la coscienza. Questa esperienza ci rivela quanto spesso la nostra visione della vita sia limitata da vincoli terreni. E, paradossalmente, è proprio in questa disconnessione dai sensi che ci riavviciniamo a ciò che è davvero significativo.

La pratica del floating, dunque, non è solo un’esperienza di rilassamento o un’opportunità per sfuggire allo stress. È un modo per ricordarci che la vita, per quanto preziosa, non è fine a sé stessa. Ci aiuta a riconoscere che il nostro scopo – quella missione che spesso rimane nascosta dietro i bisogni e le preoccupazioni quotidiane – è ciò che conferisce alla nostra esistenza il suo vero valore.

Così, come Pompeo incoraggiava i suoi uomini a imbarcarsi nonostante la tempesta, il floating ci invita a volitare – a galleggiare in una dimensione diversa, a lasciare andare ciò che è superfluo per ritrovare ciò che è essenziale. E proprio come la frase di Pompeo ci insegna il coraggio di affrontare il mare in tempesta, questa pratica ci insegna il coraggio di confrontarci con il nostro io più profondo.

Il floating non è solo un viaggio verso la calma, ma un viaggio verso la consapevolezza. Non importa quanto le onde della vita siano turbolente: se riusciamo a sospenderci in questa esperienza e a liberarci dei filtri della quotidianità, possiamo intravedere il vero scopo che ci guida e comprendere tutta la futilità delle paure che ci trattengono.